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CRIMINALITÀ
L'indagine storica dei fenomeni criminali, delle
loro manifestazioni e dei mutamenti nel corso della civiltà, si avvale
anche di strumenti e risultati della sociologia e della criminologia. La
sociologia ha elaborato diverse definizioni della criminalità che
si possono ricondurre a due opposte concezioni: l'una giusnaturalistica,
l'altra relativistica. La concezione giusnaturalistica, diffusa tra
gli scienziati sociali dell'Ottocento, ha le sue basi in tradizioni di pensiero
assai lontane nel tempo ed è sua componente fondamentale l'istanza
religiosa. Per questa la criminalità si configura come un settore
della società che agisce in base a norme chiaramente e oggettivamente
individuabili dalla coscienza comune di ogni tempo come offensive e lesive
dei fondamenti stessi della vita sociale. Essa presuppone un consenso sostanziale
tra la grande maggioranza della popolazione in merito alle regole fondamentali
della condotta pubblica e privata. La concezione relativistica risale
ai primi del Novecento, ma fondamentalmente venne elaborata a partire dagli
anni sessanta, soprattutto in ambiente anglosassone. Alla sua base si trova
l'asserzione dell'impossibilità di individuare e isolare un'area
autonoma della criminalità. Essa infatti prenderebbe corpo in relazione
alle strutture del potere e del controllo sociale che definiscono e etichettano
(labeling approach) come crimine certe categorie o atti di comportamento
storicamente mutevoli (criminalizzazione). La cultura del positivismo
giuridico accoglie l'idea di una criminalità legata alla valutazione
dei soggetti che sovrintendono al controllo sociale. In questo modo la criminalità
acquista rispetto e dignità anche agli occhi dello storico. Essa
si configura infatti come forma di opposizione a uno stato oppressore e
si avvicina pertanto all'area della criminalità sociale o prepolitica
per il cui studio una lunga tradizione storica ha messo a punto gli opportuni
metodi e apparati concettuali. Questo tipo di impostazione consente di mettere
a fuoco una forma di criminalità fortemente storicizzata e legata
a specifici tratti socioculturali e a meccanismi di potere nonché
alle ragioni economiche che caratterizzano un'epoca. In ambiente storico
lo studio della criminalità è legato alla scuola economico-giuridica,
che aveva a suo modello la moderna criminologia. In questo ambito nacque
l'interesse per la statistica e per l'eziologia del crimine. Le prime serie
statistiche furono elaborate alla ricerca di costanti, nell'intento di collegare
poi i risultati e di stabilire nessi tra le serie stesse, le condizioni
economico-sociali e la situazione demografica. Nello stesso ambito si sviluppò
un interesse per situazioni criminali a carattere aneddotico, che talvolta
però non andava al di là di una morbosa curiosità giudiziaria.
L'utilità di questi lavori resta come semplice testimonianza di una
fase storica e, a volte, come materiale utile per diverse riflessioni. Nella
seconda metà del Novecento il tema della criminalità divenne
di primario interesse in relazione al mutare degli orientamenti storiografici
che avevano profondamente rinnovato le basi epistemologiche della storia,
riconoscendo il diritto alla storia alle masse popolari, ai poveri, agli
offesi, agli emarginati e ai criminali, tradizionalmente ignorati. Le vicende
della criminalità e della marginalità, le cui aree di confine
appaiono estremamente labili e confuse all'interno di un altrettanto indefinito
mondo delle masse, sono strettamente collegate anche dalla documentazione.
Le imponenti serie dei fondi giudiziari, gli archivi della repressione,
offrono notizie e dati su crimini e criminalità che sono allo stesso
tempo un importante riflesso dell'esistenza e dell'attività dei gruppi
marginali e della vita di tutti i giorni. Fortemente sentita è ancora
la necessità di ancorare gli studi sulla criminalità alla
quantificazione, ma con la consapevolezza dei limiti che le fonti e il modo
di funzionamento della giustizia in ancien régime pongono
alla raccolta dei dati e alla costruzione di serie statistiche. Quelle incertezze
delle testimonianze documentarie, note come i silenzi strutturali, costituiscono
il dark number (numero oscuro) dell'economia criminale. Il sistema
delle "composizioni", per esempio, faceva sì che una buona parte
degli affari criminali venisse risolta mediante accordo tra le parti, al
di fuori dei tribunali (forme extragiudiziarie). Larga parte dei crimini
non veniva inoltre punita, e quindi non era neanche registrata, a causa
delle carenze e delle inefficienze dell'apparato di polizia. I problemi
di funzionamento e organizzazione delle magistrature aggiungono ulteriori
incertezze. Il sistema giudiziario era infatti frammentato in numerose magistrature
maggiori e minori le cui giurisdizioni, non sempre chiaramente definibili,
erano stabilite in relazione a crimini specifici, o a competenze territoriali,
o allo status delle persone inquisite. Questo impedisce il reperimento di
fonti archivistiche coerenti e gestibili che consentano di cogliere quella
criminalità segnalatasi all'attenzione della giustizia. Date queste
premesse, le fluttuazioni delle statistiche criminali ragguagliano maggiormente
sull'atteggiamento delle vittime o sull'efficienza e la forza delle istituzioni
giudiziarie locali e dell'apparato repressivo che non sul volume globale
della criminalità. Non è quindi possibile verificare in rigorosi
termini quantitativi se e quando la criminalità sia aumentata o diminuita.
Per avere un'idea della valutazione delle politiche penali, vengono studiati
alcuni crimini che hanno a che vedere con comportamenti devianti considerati
particolarmente significativi come quelli attinenti la morale, la violenza
e il furto. Tale analisi permette infatti di individuare il bene giuridico
preminente tra quelli tutelati nel momento repressivo (la vita e l'incolumità
delle persone, i loro beni, l'ordine e la tranquillità pubblica)
nonché la dimensione di pericolosità che si percepisce a livello
di potere in relazione ai singoli punti sottolineati con l'atto punitivo.
Attraverso questi reati, o meglio attraverso la più o meno severa
reificazione di questi comportamenti, si può cogliere il livello
di modernità o di arcaismo di una civiltà e il momento di
passaggio tra il modello premoderno dell'antico sistema punitivo e quello
moderno. Il confronto dei concetti di colpevolezza e di reato, estremamente
variabili specie sul lungo periodo, costituisce un problema non facilmente
risolvibile. È questo un modo per affrontare l'importante nodo della
transizione dal feudalesimo al capitalismo nell'ambito dei meccanismi interni
dell'evoluzione degli istituti sociali e delle forme istituzionali e giuridiche
del potere. I reati che afferiscono alla sfera morale rientrano contemporaneamente
nella casistica religiosa e tra i comportamenti che attentano alle istituzioni
sociali e di governo. Essi consentono di valutare, per esempio, l'evoluzione
e la tenuta dell'organizzazione familiare e l'integralismo di un governo.
La violenza viene studiata nell'intento di vederne la diffusione in diversi
contesti storici e su questa base costruire i relativi modelli di comportamento
sociale. Si è così ipotizzato che nelle antiche civiltà
contadine i rapporti interpersonali fossero privi di mediazioni, improntati
a una istintività sanguinosa tollerata dalle istituzioni repressive,
che non avevano, del resto, strumenti per agire. Questa violenza arcaica
sarebbe venuta meno con l'erosione delle istituzioni medievali e con il
nascere dello stato moderno che avrebbe monopolizzato l'uso della forza.
In questa stessa prospettiva, ma tenendo presente categorie economiche,
si sono formulate ipotesi sulla evoluzione generale della criminalità.
Essa sarebbe passata da una base di estrema primitività a forme sempre
più sofisticate e collegate alla diversificata realtà economico-sociale.
Da una larga predominanza dell'omicidio e della violenza, l'evoluzione sarebbe
verso il furto, la frode e la truffa (capitalist crime). Queste modificazioni
si sarebbero verificate in seguito al passaggio da un sistema economico
di tipo feudale a uno di tipo capitalistico. A parte la complessa questione
della proposizione di un modello di evoluzione assai controverso, si può
riconoscere a questa ipotesi il merito di aver collegato la criminalità
non solo all'ovvia radice della miseria, ma a un quadro economico, sociale
e culturale, nella fattispecie il processo di industrializzazione. Per verificare
queste ipotesi sull'evoluzione della criminalità e, allo stesso tempo,
per avere una conoscenza più articolata del fenomeno, viene inoltre
proposto di studiare alcuni casi giudiziari sia attraverso la case history,
sia attraverso la prosopografia criminale (ricostruzione di singoli
profili biografici). È questo un modo per approfondire alcune questioni
tecniche, quali il tipo di struttura e d'organizzazione del gruppo criminale,
il livello di professionalizzazione della delinquenza, ma anche un modo
per addentrarsi all'interno dei gruppi umani e cogliere le dinamiche più
radicate, le ragioni sociali della violenza, della devianza e della repressione.
E. Luttazzi

I Taylor, P. Walton, J. Young, The New Criminology: for a Social Theory
of Deviance, Routledge & Kegan Paul, Londra 1973; V.A.C. Gatrell, B.
Lenman, G. Parker (eds), Crime and the Law. The Social History of Crime
in Western Europe since 1500, Londra 1980; B. Geremek, Uomini senza
padrone. Poveri e marginali tra Medioevo e età moderna, Torino
1992.
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